L'uomo che può sostituire Damian McKenzie
Da quando è stata diffusa la notizia che Damian McKenzie si è infortunato al ginocchio, perdendo così l’opportunità di partecipare alla prossima Rugby World Cup in Giappone, un’unica domanda è apparsa nella mente di tutti: chi prenderà il posto di McKenzie nella squadra degli All Blacks che partirà per il Giappone?
Un quesito al quale non c’è ancora riposta certa e che, probabilmente, impegna notte e giorno le menti dei selezionatori All Blacks.
La distanza che intercorre tra i prescelti Numeri Dieci - Beauden Barrett, Richie Mo’unga e McKenzie - e il resto dei playmakers in Nuova Zelanda è considerevole.
Tuttavia, Steve Hansen e i suoi assistenti, Ian Foster e Grant Fox, faranno in modo di trovare un rimpiazzo in grado di sostenere almeno la metà di una stagione di Super Rugby, un super condensato Rugby Championship, Bledisloe Cup e un test contro Tonga.
Sono già stati fatti molti nomi dal momento in cui si è accertato che la stagione di McKenzie fosse finita per quest’anno.
La ricerca del sostituto di McKenzie è resa ulteriormente più complessa dal fatto che lui abbia certamente ricoperto molte volte il ruolo dell’apertura (effettivamente molte di più rispetto a quante è stato scelto negli All Blacks dal suo debutto nel 2016), nonostante il quasi-24enne dei Chiefs giochi prevalentemente ad estremo.
Ecco dunque che questa dimensione in più, nel profilo del giocatore, complica il rompicapo e pone i selezionatori davanti a due scelte, ovvero: cercare un’apertura con poca esperienza nei test match ma capace di aggiungere profondità alla squadra, oppure scegliere un estremo con più esperienza e skills che però potrebbe lasciare gli ABs a corto di personale nel reparto delle aperture con i soli Mo’unga e Barrett a gestire la situazione.
Nonostante ci siano diversi candidati allo spot lasciato da McKenzie che presentano i requisiti adatti e le abilità giuste per risolvere, o quantomeno alleviare, la situazione, sembra difficile immaginare che i selezionatori All Blacks correranno il rischio di portare solo due aperture in Giappone, specialmente considerati gli infortuni passati proprio in quella posizione in una precedente Coppa del Mondo.
Nel 2011, gli ABs hanno perso tre numeri dieci in tre settimane e, di conseguenza, hanno imparato a costruire una straordinaria profondità in quel reparto tra il 2012 e il 2015, assicurandosi così di essere coperti nel caso che un così terribile scenario si ripresentasse.
Nel 2015, lo staff tecnico neozelandese poteva scegliere tra ben sei opzioni diverse al No10; la scelta è infine ricaduta su Daniel Carter, Barrett e Colin Slade, con Aaron Cruden infortunato e Lima Sopoaga e Tom Taylor di riserva se fosse accaduto il peggio.
Ma nonostante avessero scelto di portare in Inghilterra tre aperture, Slade è stato utilizzato solo una volta, da titolare, contro la Namibia nella posizione di estremo.
Forse gli All Blacks sono stati fortunati ad affrontare quella Coppa del Mondo usando solo due delle tre aperture scelte, ma saranno pronti quest’anno a correre lo stesso rischio?
Il perno dei Blues, Otere Black, spicca fra tutti i candidati come l’apertura più in forma al momento, dopo Mo’unga e Barrett, ma sarebbe davvero pronto per un test match o addirittura per la Coppa del Mondo?
Black ha collezionato sette presenze con i Maori All Blacks e, se non si fosse presentato l’inconveniente di McKenzie, è molto probabile che quello rimarrebbe tutt’ora l’unico palcoscenico internazionale in cui verrebbe utilizzato, considerato che l’apertura dei Blues manca di quella dimensione extra, quel X-Factor, che separa Barrett, Mo’unga e Mckenzie dal resto dei giocatori neozelandesi.
Nonostante sia l’unica apertura in NZ con esperienza a livello internazionale, Brett Cameron non possiede un così alto minutaggio nei Crusaders (avendo davanti uno come Mo’unga) e con un’unica partenza da titolare contro i Waratahs a Sydney lo scorso mese.
In quella partita è venuto fuori quanti miglioramenti ci siano ancora da fare per lui. Stesso discorso vale anche per il giovane brillante degli Highlanders Josh Ioane, Mitch Hunt e il fratello più grande di Damian, Marty McKenzie. Tutti loro possono essere presi in considerazione grazie alla loro capacità di adattarsi alle richieste del gioco (in questo caso al ruolo di estremo) proprio come il numero 15 dei Chiefs.
Tutti questi talenti a portata di mano dei selezionatori All Blacks non soddisfano tuttavia i parametri di quella complessa ricerca: nessuna apertura tra le due isole spicca davvero come adeguato sostituto capace di entrare in perfetta sintonia, senza difficoltà, con tutta la rosa neozelandese.
Barrett, Mo’unga e Mckenzie hanno delle peculiarità nel loro gioco tali da rendere sia loro che gli All Blacks dei maestri assoluti in ciò che fanno, a livello mondiale, e nessuno dei loro più prossimi sostituti può affermare con sicurezza di possedere simili qualità.
Questo conduce ad un altro quesito: in un momento così critico, Hansen, Foster e Fox dovrebbero allora guardare oltreoceano per rinforzare il reparto delle aperture?
Come nazione che è così strenuamente contraria al concetto di richiamare in casa giocatori ormai impegnati all’estero, è comprensibile perché molti Kiwis si opporrebbero a tale suggerimento.
Nel momento in cui una cosa del genere dovesse accadere, se si aprissero le porte della Nazionale neozelandese anche a tutti i giocatori all’estero -specialmente quelli impegnati in Europa- si darebbe vita ad un esodo di enormi proporzioni che renderebbe effettivamente il Super Rugby un vivaio under 23.
Desperate times call for desperate measures.
L’infortunio al collo di Sam Cane, dello scorso ottobre, ha costretto Steve Hansen a richiamare Matt Todd dalla Japanese Top League per il tour di fine anno degli ABs, perché non era sicuro di scegliere uno degli openside flanker tra Ardie Savea e Dalton Papali’i.
Era una prima volta per gli All Blacks e potrebbe ripetersi. Sopratutto perché il Giappone ha una struttura di campionato simile a quella neozelandese, sia con i Sunwolves nel Super Rugby che con il Top League che segue la Mitre 10 Cup, perciò non sarebbe tanto sconvolgente se accadesse di nuovo.
Ma quale neozelandese, attualmente in Giappone, potrebbe rispondere alle aspettative dei selezionatori ABs, contribuendo con il proprio talento, esperienza ed abilità, a rivestire quel terzo profilo richiesto per la prossima Coppa del Mondo?
Hayden Parker.
Un giocatore 28enne senza alcun cap, snobbato da tutte e cinque le franchigie di Super Rugby neozelandesi dopo che la parentesi con gli Highlanders si è conclusa a causa di una lunga serie di infortuni. Ma tutte le franchigie -fatta eccezione per i Crusaders che hanno una formidabile profondità quasi in ogni reparto- avrebbero beneficiato dalla presenza di uno come Parker nella loro rosa.
Ad oggi, è uno dei calciatori migliori che il mondo del rugby abbia mai visto, ma il suo talento non è confinato solo al piede. Infatti, un’ampia dimostrazione delle prodezze di Parker come playmaker la si può trovare nel match disputato contro i Reds dello scorso maggio in cui ha segnato una meta, cinque trasformazioni e sette punizioni accumulando 36 punti nella vittoria per 63-28, diventando così il giocatore neozelandese con il più alto punteggio in un una partita di Super Rugby e il quarto nella storia del campionato.
La sua performance in quel match è forse l’esempio massimo di tutte le sue qualità e, come se non bastasse, una settima dopo, ha segnato il drop della vittoria al 85’ per concludere il match contro gli Stormers 26-23.
Questi attributi rendono Parker il giocatore più importante nella squadra dei Sunwolves, e, una volta che la franchigia non esisterà più il prossimo anno, l’apertura verrà ricoperto di centinaia di offerte.
Comunque, se Hansen vorrà ritoccare le leggi di idoneità per la seconda volta in meno di 12 mesi, Parker potrebbe aspettarsi l’occasione di ritornare in patria prima del 2020, considerata la sua esperienza nel rigoroso e pesante campionato di Super Rugby.
Ovviamente, disputare una Coppa del Mondo non è come un torneo di Super Rugby, ma Parker fa già parte della scena professionale sin dal suo debutto in ITM Cup nel 2010 e ha accumulato esperienza, confidenza e abilità tali che nessun’altra apertura neozelandese possiede al momento.
Richiamare in patria un giocatore impegnato all’estero può essere considerato da alcuni come l’inizio di una spirale discendente nella qualità del rugby neozelandese. Ma cosa ci sarebbe di così terribile nel scegliere un Kiwi, all’estero, che da ancora filo da torcere ai migliori candidati All Blacks?
Il valore che Parker sta dimostrando scavalca quello di tutte le altre aperture neozelandesi impegnate nel Super Rugby al momento e, vista la necessità di trovare un terzo profilo per l’imminente Coppa del Mondo, potrebbe essere proprio lui l’uomo giusto per sostituire McKenzie, la risposta ad uno dei quesiti più interessanti del rugby moderno.